Nell’immaginario comune l’adozione sembra essere la soluzione felice a molti problemi: di una coppia che non riesce ad avere figli, di una madre e di un padre che non vogliono averne e di un bambino “fortunato” a cui viene data la possibilità di vivere in un posto migliore. Ma nella realtà non è così semplice. scopriamo insieme quali possono essere i vissuti del bambino e le risorse che un genitore deve essere pronto a mettere in campo.
Ma la realtà non è cosi semplice…..un bambino in stato di adottabilità è comunque un bambino abbandonato: nel migliore dei casi semplicemente non voluto, nei casi peggiori, che purtroppo spesso sono anche i più comuni, si tratta di un bambino vittima di violenza fisica e psicologica assistita e subita. Queste esperienze negative del bambino non sono solo parte del suo passato, ma costituiscono delle cicatrici emotive che restano brucianti e dolorose anche nel presente e che dovranno essere “curate” dai genitori adottivi che avranno un importante compito ripartivo. Qual’è il vissuto di un bambino adottivo nel momento in cui entra a far parte della sua nuova famiglia? Probabilmente prova paura, stordimento, incomprensione; queste emozioni si possono esprimere in modi svariati. C’è il bambino che può reagire con crisi di rabbia in cui spacca tutto e si comporta in maniera aggressiva e violenta, c’è il bambino che scoppia in crisi di pianto inconsolabili, c’è il bambino che può reagire immobilizzandosi e sembrando all’apparenza impassibile a tutto. I genitori adottivi devono imparare a comprendere le emozioni e le azioni del figlio per capire poi come doppia rispondervi.
Due fenomeni sono importanti per comprendere il punto di vista del bambino: l’impatto dei traumi del passato sul suo sviluppo psico-emotivo e la necessità di raggiungere una doppia appartenenza tra il passato e il presente.
Le moderne neuroscienze hanno permesso di evidenziare come l’impatto delle esperienze traumatiche in età precoce può avere un’influenza diretta anche sul sistema nervoso centrale e sul suo funzionamento, determinando così delle conseguenze anche organiche in questi bambini. Il 78% dei bambini adottati, in particolare se provenienti da lunghi periodi di istituzionalizzazione, presentano un attaccamento disorganizzato e in alcuni casi possono presentare invece un vero e proprio disturbo dell’attaccamento che può esprimersi con diverse sintomatologie.
Nel disturbo reattivo dell’attaccamento il bambino si mostra all’adulto fortemente ritirato dalla relazione, non risponde al conforto e presenta profonda tristezza e irritabilità.
Nel disturbo da impegno sociale disinibito invece il bambino mette in atto un comportamento verbale o fisico eccessivamente familiare anche con estranei e mostra una disponibilità ad allontanarsi con un adulto sconosciuto con minima o nessuna esitazione.
L’eziologia di entrambi i disturbi è la medesima ovvero: trascuratezza e deprivazione, mancanza di soddisfazione di bisogni emotivi e di conforto, ripetuti cambiamenti dei caregiver primari, allevamento in contesti insoliti.
Il genitore adottivo deve dunque essere pronto ad affrontare non poche difficoltà che inevitabilmente si presenteranno.
Ma l’adozione, secondo la letteratura, può con il tempo rappresentare una trasformazione di queste prime esperienze avverse, fornendo una nuova modalità relazionale e di attaccamento. Si è visto che, grazie all’accoglienza in famiglia, le problematiche psicologiche e comportamentali dei bambini si riducono attestandosi intorno al 30% circa dopo un periodo di almeno un anno di permanenza nella famiglia adottiva.
La famiglia adottiva, se ben preparata ad accogliere le difficoltà insite nell’adozione stessa, può rappresentare un fattore di resilienza nel difficile percorso di vita di questi minori. Alcuni accorgimenti che possono aiutare il genitore adottivo sono:
Capire che i comportamenti problematici e in apparenza provocatori sono spesso causati all’interpretazione che il bambino dà dei comportamenti altrui, e che questa è dettata dalle esperienze pregresse nella famiglia biologica. Tali esperienze pregresse hanno creato nel bambino un’immagine di sé stesso estremamente negativa, di bambino non amabile, rifiutato, questo renderà molto difficile fidarsi di nuovi genitori
Provare ad assumere uno stile educativo equilibrato tra sostegno e conforto, nello stesso tempo proporre anche regole ferme e costanti, che hanno una funzione estremamente rassicurante per il bambino
Utilizzare con il minore un linguaggio che lo aiuti a conoscere e distinguere le sue emozioni
Creare insieme al bambino una sorta di album/libro che lo aiuti a narrare la sua storia e che contenga informazioni sulle sue radici, i suoi ricordi sulla famiglia biologica e poi l’incontro con la famiglia adottiva. Questo lo aiuterà a costruire insieme alla nuova famiglia diversi significati rispetto alla rappresentazione del trauma legato all’abbandono.
Nella fase post adottiva, per situazioni di maggiore criticità, è possibile e utile attivare diverse forme di aiuto alla famiglia e al bambino stesso, come: un sostegno psicologico ed educativo ai genitori, che possa guidarli a comprendere e rispondere al meglio ai comportamenti e alle esigenze dei figli; un sostegno psicologico al bambino, che possa aiutarlo ad esprimere i propri vissuti e bisogni e a sviluppare una capacità auto-riflessiva per dare significato alla propria storia; attivare un percorso di psicologico per le specifiche problematiche del bambino eventualmente presenti, come ad esempio disturbi specifici dell’apprendimento, ADHD, disturbi della condotta.
Ma l’adozione non è un processo unidirezionale, nel quale i genitori adottivi colmano con le proprie risorse le carenze e i deficit del bambino, la cui origine è rappresentabile come "vuota", se non addirittura come radicalmente "danneggiata". L'adozione, al contrario, si costituisce come un processo di scambio, per la presenza reciproca di bisogni e di risorse da parte sia dei genitori che del figlio.
E’ poi fondamentale comprendere che l'adozione si configura come un sistema familiare complesso, che è stato definito "meta-famiglia", all'interno del quale esistono due realtà, una presente ed una distante e perduta; gli eventi e le persone del periodo prima dell'adozione e quelli incontrati con l'inserimento nella famiglia adottiva.
Il fatto che solo uno dei due poli sia presente sul piano concreto non equivale tout court all’ impallidimento dell'altro, perché il rilievo psicologico delle figure assenti, presenti a livello simbolico e non solo (si pensi ai figli adottivi di diversa etnia), assume nel tempo un diverso peso per il figlio adottato, rimanendo magari per anni sullo sfondo, ma divenendo in alcuni periodi presenza di primo piano. Quella del figlio adottato è dunque una doppia appartenenza, destinata a caratterizzare tutta la vita del figlio adottivo ma anche dei suoi genitori, evidenziandosi in periodi cruciali, come l’adolescenza. Il figlio adottivo - e con lui i suoi genitori - sono dunque chiamati a compiere il complesso cammino d'integrazione tra le due parti della propria storia, quella precedente e quella successiva all'evento adottivo.
In questa prospettiva il figlio si sentirà accolto, qualunque sia la propria posizione: sentirà che gli è permesso sia fare domande e comunicare fantasie rispetto alla sua famiglia d'origine, sia assestarsi in una posizione "evitante", che può essere temporanea o permanere anche per molto tempo. Quando invece vengono sentiti come minacciosi gli elementi legati al passato, proprio del figlio, e i genitori sono paralizzati nell'incapacità/ rifiuto di trattare il tema della sua diversa origine, si crea un perimetro genitoriale ristretto, in cui la coppia adottiva riesce a "sintonizzarsi" con il minore solo se quest'ultimo mantiene una posizione "evitante" o di "negazione" del passato. Appena il figlio fa una mossa in direzione di una migliore integrazione, si creano dinamiche di incomprensione e aumenta la distanza emotiva reciproca. E' indispensabile aiutare i genitori adottivi a ricordare come l'adozione richieda al figlio - che ha gli stessi bisogni di ogni bambino - un complesso lavoro d'integrazione tra due esperienze diverse e non automaticamente conciliabili.
Dott.ssa Valeria Biffi Psicologa, Psicoterapeuta
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