Dopo anni di limitazioni alla circolazione dovuti all’emergenza pandemica, quest’anno le persone hanno ripreso a viaggiare come e più di prima. Ma cosa si nasconde dietro questo desiderio che caratterizza da sempre la specie umana?
Viaggiare significa allargare i confini, esplorare, vivere una sensazione tutta speciale di libertà.
I posti che scegliamo dove andare raccontano di noi, dei nostri gusti, delle nostre caratteristiche, delle nostre aspirazioni.
Dal punto di vista psicologico il viaggio regala tre opportunità:
Soddisfare i bisogni di novità, libertà e conoscenza.
Accrescere il senso di competenza rispetto a quello che siamo capaci di fare.
Aumentare le alternative, quindi nuovi modi di essere e nuovi modi di vedere la realtà.
Il viaggio ha dunque un potenti effetti sulla nostra psiche e anche sul nostro corpo; vediamone alcuni:
L’esperienza di picco: quando viaggiamo possiamo sperimentare la peak experience, o esperienza di picco. Può essere descritta come un’ondata di vitalità ed euforia, nella quale tutti i sensi sono più sensibili. La persona si sente pienamente se stessa e gratificata. L’esperienza di picco è una sorta di scintilla interna che porta un grande senso di stupore e di meraviglia e durante la quale la persona si sente davvero in contatto con la propria vita. .
La ricerca di sensazioni: uno dei bisogni fondamentali dell’uomo è il bisogno di essere stimolato: toccare, vedere, sentire, ascoltare, assaporare. La spinta a viaggiare è spiegata quindi anche come la ricerca della soddisfazione di questa “fame di stimoli” e quindi della sensation seeking. Ogni persona è diversa ed ha necessità di una specifica quantità di stimolazioni, da qui quante attività decide di intraprendere e quanto viaggia. .
La ri-connessione e ri-validazione della nostra vita: viaggiare ci dà la possibilità di riesaminare la nostra vita da un altro luogo. Cambiare punto di osservazione ci permette di fare delle valutazioni più oggettive: quali sono i valori e le abitudini in cui ci sentiamo comodi e quelli invece che ormai non ci appartengono più; questo ci aiuta a porre le basi per i cambiamenti che vogliamo. .
Nuovi circuiti neurali: viaggiare interrompe la routine e gli schemi abituali di pensiero. Dal punto di vista fisico, introduce una novità per il cervello che attiva nuovi circuiti e nuovi pattern. Ecco perché spesso viaggiando sentiamo quel brivido di libertà e la sensazione di poter effettivamente cambiare qualcosa della nostra vita. .
La decompressione dallo stress: viaggiare può voler dire anche mettere spazio tra noi e ciò che ci stressa. Andare in un altro luogo può significare prenderci una pausa da ciò che ci appesantisce per focalizzarci su noi stessi e su ciò che ci porta piacere. In questo senso, un viaggio desiderato serve per decomprimere e ridurre il cortisolo, l’ormone dello stress. .
La flessibilità cognitiva e la creatività: le novità legate al viaggio rivitalizzano la mente e aumentano quella che viene chiamata cognitive flexibility, ovvero la capacità di “saltare” da un’idea all’altra e fare collegamenti di pensiero, che sono le componenti fondamentali della creatività. Questo spiegherebbe anche come mai le persone che viaggiano e in particolare che vivono in un altro paese sono spesso più creative e più aperte nel pensiero.
Da un punto di vista psicologico si può poi dire che ci sia analogia tra il viaggio inteso come conoscenza di realtà esterne (luoghi, culture, lingua ecc.) e il percorso di conoscenza di sé.
Il viaggio nelle sue fasi (partenza, percorso e arrivo) rende l’idea della ciclicità della vita e del suo dinamismo. Il viaggio è, quindi, un’esperienza interiore dell’individuo che richiama la circolarità della vita: la nascita, l’adolescenza-la fase adulta e la morte.
Da un punto di vista psicologico, la partenza risulta essere un momento di estrema rilevanza.
Rappresenta un momento di distacco, infatti il piacere di spostarsi da una situazione rassicurante come quella della propria terra d’origine e del proprio nucleo familiare presuppone il superamento della fase simbiotica del bambino nei confronti della madre. Così come teorizzato dalla psicoterapeuta Margaret Mahler (1897), superando la fase simbiotica, il bambino approda ad una fase definita separazione-individuazione che è compatibile con il momento della partenza, perché comporta il distacco dalla madre, considerata una base sicura, per raggiungere un livello sempre maggiore di autonomia che si intensifica nell’adolescenza, ma si definisce nell’età adulta. Viaggiare, quindi, rappresenta il superamento delle azioni abituali e quotidiane o anche la rottura dalla routine della vita condotta nel luogo di residenza, che denota una base sicura per l’individuo. Tutto questo comporta una disponibilità a mettersi in gioco, ad affrontare l’ansia dell’imprevisto e dell’ignoto che ogni viaggio, anche quello più organizzato o vicino, comporta; ad abbandonare la sicurezza di ciò che è conquistato e garantito.
Le persone quindi che faticano a viaggiare, potrebbero soffrire di una difficoltà a separasi dalla propria “confort zone”, tanto da provare agitazione, preoccupazione e paura alla sola prospettiva di spostarsi dai luoghi abituali. In ogni caso si trovano limitate rispetto ad un’esperienza che, come abbiamo visto, ha potenti effetti positivi.
Quando la fatica diventa vera a propria paura, si tratta di “Odofobia”. È la paura di viaggiare.
Può riguardare ogni dimensione, dall’allontanamento di casa al prendere mezzi di trasporto, dal confronto con persone sconosciute alle preoccupazioni che bloccano una persona a partire o che la accompagnano durante il viaggio.
Come ogni “fobia”, questa paura si basa su pensieri irrazionali che alimentano quella sensazione di impotenza, disagio, smarrimento e minaccia di fronte a qualcosa che nella realtà pericoloso non è.
L’Odofobia può essere invalidante, limitante e paralizzante, influenzando di molto la qualità della vita quotidiana, ma si può affrontare con un adeguato percorso psicologico.
Dott.ssa Valeria Biffi
Psicologa, psicoterapeuta
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