La terapia familiare è consigliabile a tutte le famiglie in cui un figlio inizia a manifestare
un sintomo (ansia, depressione, disturbi alimentari, ect.). L'obiettivo è quello di identificare precocemente le cause che determinano il sintomo promuovendo le risorse presenti all'interno del sistema famigliare per ridurlo e annullarlo. Vediamo insieme un esempio di seduta familiare.
Parole di un papà durante una seduta familiare: Dopo i numerosi attacchi di panico emersi nelle ultime due settimane, Giulia (13 anni) ammette e comunica un tema di preoccupazione profonda rispetto alla paura di deludere i propri genitori, in particolar modo rispetto a suo padre. Per la prima volta riesco a coinvolgere il padre in un colloquio, prima di allora sempre molto impegnato al lavoro. Faccio una domanda al padre per capire cosa sa e che spiegazioni si dà rispetto alle cause che fanno emergere questo sintomo (domanda a cui non risponde rimanendo zitto in modo oppositivo). Chiedo il motivo di tale atteggiamento: alza gli occhi e non parla... poi dichiara: "Sa dottoressa io non ci credo nella psicologia, non volevo nemmeno venire, mi spiace se la offendo." (la ragazza inizia a piangere intensamente). Il pianto è avviato dal dolore della consapevolezza che il padre non riconosca la serietà degli attacchi di panico. Io: "Guardi non si preoccupi, ho le spalle larghe, lei non è il primo e non sarà l’ultimo a pronunciare queste parole. La funzione della sua presenza oggi è che si possa parlare di quanto accade a sua figlia che ho avuto modo di conoscere negli incontri precedenti e che sta male ripetutamente a scuola e a casa. Anche adesso sta chiaramene piangendo, lei cosa pensa e come si sente?." Il mutismo del padre continua. La seduta prosegue e la ragazza dichiara che a volte i genitori si sono arrabbiati a seguito di qualche brutto voto ricevuto a scuola. Chiedo alla figlia di descrivermi gli episodi a cui fa riferimento. Giulia cerca di parlare ma non riesce... cerco di aiutarla con domande chiuse per avere semplicemente dei ‘si o no’ come risposte. È ormai bloccata nel parlare, le lacrime aumentano, il respiro è molto affannato, parte l’attacco di panico....
Il padre rimane immobile, fermo, una statua di sale nonostante fosse seduto di fianco alla figlia.
Prima le cercavo di spiegare che sua figlia ha bisogno di lei, sente di essere invisibile ai suoi occhi, non comprende se è importante per lei. In terapia non si cerca il colpevole ma le cause che hanno contribuito a sviluppare il sintomo per condividerle e chiarire eventuali incomprensioni emotive e relazionali. Lei è sicuramente un papà che cerca di fare il meglio ogni giorno ma questo non è sufficiente ad evitare il sintomo. Il sintomo nei bambini emerge quando involontariamente con parole e azioni si promuove uno stato di malessere.
Piano piano l’attacco si riduce e riprendiamo proprio da lì, dal dato reale, dal sintomo, che non si può non vedere. Il dato reale è estremamente tangibile.
Non c’è da credere o meno nella psicologia. La psicologia non è magia e non è religione. La psicologia è una scienza. Non si chiede di credere o meno ad essa, ma di riuscire a vedere la sofferenza dei figli (a volte così evidente e di estrema sofferenza come gli attacchi di panico), di riconoscere l’importanza del proprio ruolo genitoriale e di conoscere e riconoscere gli strumenti che si hanno a disposizione per cambiare la situazione di disagio e sofferenza che a volte si crea. Qui non si giudica e non si combatte una battaglia, qui si impostano affinati ‘giochi’ di squadra familiari per risolvere efficacemente ciò che fa star male, per poter star meglio.
Gli eventi faticosi accadono, ed il regalo più bello che si può donare ai figli, è quello di essere in grado di affrontarli senza pensare di essere soli o sbagliati, ma supportati e spronati correttamente per imparare a volare!
Dott.ssa Francesca Colzani
Psicologa Sistemico Relazionale Familiare
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