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Writer's pictureCentro per la Persona e la Famiglia

VIOLENZA CONTRO LE DONNE: UN’ EMERGENZA SOCIALE

La violenza sulle donne è ritenuto, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, un problema di salute di proporzioni globali. La donna vittima si trova immersa in un ciclo definito “ciclo della violenza” dal quale, senza un adeguato supporto fatica ad uscire. E’ fondamentale il ruolo dello psicologo, parimenti a quello dell’operatore sanitario che interviene di norma nell’ emergenza, nel favorire nella donna una presa di coscienza della realtà atta a promuovere un cambiamento.




Tipologie di violenza

Esistono diversi i modi con cui si può manifestare una violenza, tutte queste modalità possono avere conseguenze psicologiche e fisiche rilevanti. Le principali tipologie di violenza sono:


Violenza Fisica. È la forma di violenza più riconoscibile perché visibile lasciando tracce. Le azioni violente comprendono calci, pugni, spintoni, il sovrastare fisicamente, costringere nei movimenti e rompere oggetti come forma d’intimidazione, minacciare con e/o usare armi da fuoco o da taglio e anche privare il soggetto di cure mediche.


Violenza Psicologica. Con questo termine si intende l’insieme di intimidazioni, minacce o comportamenti che incutono paura e che perseverano nel tempo. Questa forma di violenza ha come strumento elettivo la paura e compromette anche la percezione di sicurezza che la donna ripone in sé e negli altri. Alcuni esempi di abuso psicologico sono: non consentire alla vittima di lasciare l’abitazione in autonomia, evitare che la vittima parli con altre persone se non sotto il permesso dell’abusante,.


Violenza Emotiva. La violenza emotiva è causata da persistenti insulti, umiliazioni e/o critiche che nel tempo possono distruggere il valore che la persona sente di avere. L’abuso emotivo è un tipo particolare di violenza per molte donne difficile da capire e da denunciare dal momento che si mantiene in superficie e non ci sono segnali fisici della sua azione. Le conseguenze di questo tipo di violenza sono tuttavia profonde e minano l’autostima. Gli abusi (fisico, psicologico, economico o sessuale) spesso precedono la violenza fisica.


Violenza Sessuale. L’abuso sessuale comprende lo stupro, le molestie, i contatti fisici non graditi senza consenso e altri comportamenti umilianti.


Violenza Economica. Tra i tipi di violenza di genere, l’abuso economico è forse il meno ovvio e conosciuto. Può assumere diverse forme: ad es. il partner potrebbe impedire la formazione o l’impegno lavorativo della compagna. L’abuso economico è molto comune in quelle famiglie in cui c’è un unico partner che gestisce le entrate e le uscite economiche o quando più semplicemente solo uno dei due lavora e l’altro è in una condizione di dipendenza forzata. Non avendo accesso al denaro se non tramite il partner violento, la vittima si sente completamente in balìa dell’abusante.


Stalking. È una forma di violenza che si contraddistingue per una condotta a carattere persecutorio e si manifesta attraverso molestie e minacce dirette alla persona e attuate, ad esempio, mediante pedinamenti, messaggi, telefonate. Tali azioni hanno l’obiettivo di danneggiare o diffamare la vittima.

Violenza Assistita. Qualsiasi atto di abuso (fisico, psicologico, emotivo, sessuale o economico) a cui assistono direttamente come testimoni o indirettamente, altre figure adulte o minori che siano significative per la vittima.


Il ciclo della violenza

Secondo Walker (1979) il ciclo della violenza è da intendersi come : “il progressivo e rovinoso vortice in cui la donna viene inghiottita dalla violenza continuativa, sistematica, e quindi ciclica, da parte del partner”.


Il fenomeno della violenza è ciclico e si sviluppa in tre distinte fasi:

Fase della crescita della tensione:

La donna avverte la crescente tensione e tenta di evitare l’escalation cercando di placare l’uomo, diminuire la tensione e prevenire l’agire violento del partner. L’uomo non agisce direttamente la violenza: la comunica mediante la mimica, atteggiamenti scostanti e il silenzio astioso.

Fase di maltrattamento:

L’uomo dà libero sfogo alla violenza. Non sempre avviene l’aggressione fisica: il maltrattante può agire la violenza anche con insulti, minacce e rottura violenta di oggetti. Generalmente la violenza fisica è graduale: i primi episodi vedono spintoni, braccia torte, per poi arrivare a schiaffi, pugni e calci o e all’uso di oggetti contundenti ed armi. In questa fase, per sottolineare il proprio potere, l’uomo può agire violenza sessuale.

Fase di “Luna di miele”:

L’uomo chiede scusa e si dimostra attento e premuroso. Sono frequenti regali, promesse di andare in terapia e di “fare tutto il possibile per cambiare”. Sono usuali, anche, le minacce di suicidio. C’è poi lo scarico della responsabilità: l’uomo attribuisce la causa del suo comportamento a motivi esterni, come il lavoro, una criticità economica, ma soprattutto accusa la donna di averlo provocato o di aver compiuto azioni che giustificano la sua aggressione.

Quando la violenza è radicata i cicli si ripetono e, come una spirale, con il tempo accelerano e cresce l’intensità. Con il passare del tempo, la fase di luna di miele si riduce e le prime due fasi diventano più frequenti, e con conseguenze più gravi per la donna. Se il processo ciclico non viene interrotto la vita della donna può essere in pericolo.


Meccanismi di mantenimento

I meccanismi che mantengono il ciclo della violenza fanno capo, innanzitutto, alla negazione della violenza stessa da parte dell’uomo attraverso atteggiamenti di minimizzazione, razionalizzazione e giustificazione dell’atto violento: “Se l’è cercata era come impazzita, dovevo fermarla in qualche modo”…”E’ stata solo una spinta…niente di più”…”Quante storie per niente”

Questi meccanismi si evolvono in maniera progressiva e hanno l’effetto di sottomettere sempre più la donna.

Il primo step è l’intimidazione: la donna viene spaventata attraverso comportamenti imprevedibili, attraverso minacce di violenza e di morte contro la sua persona; minacce di violenza contro figli o altre persone care, violenza contro gli animali domestici, danneggiamenti degli oggetti della donna. Critiche pesanti, umiliazione, derisione. Questa violenza, incessante, conduce la donna a distorcere la realtà e a credere di meritare, per un qualche sconosciuto motivo, quelle violenze e quanto altro le sta accadendo.

Lo step successivo è l’isolamento: il partner violento fa in modo che la donna si allontani dalle figure di riferimento importanti, dai propri familiari, dai propri amici, ai quali si nega, rinunci al proprio lavoro ed alla propria indipendenza pur di non perdere il proprio uomo, che continua a minacciarla di abbandono. Nel giro di poco, la donna, si ritrova sola, senza l’appoggio e il supporto di nessuno. Si ritrova in completo isolamento affettivo, avviluppata confusamente ad una relazione dannosa all’interno della quale ha imparato a cogliere il proprio, unico, universo di senso.

L’altro step è la svalorizzazione che porta la donna a perdere il senso di sé, il senso della propria identità come donna, come compagna, come madre e a sperimentare un profondo, dolorosissimo sentimento di inadeguatezza e angoscia.


Strategie di vittimizzazione

Le strategie di vittimizzazione hanno l’effetto di mantenere il persecutore l’oggetto privilegiato di attenzione della vittima: l’universo mentale della vittima diventa quello del persecutore, la vittima è espropriata del proprio sé, della propria capacità di giudizio rispetto agli eventi nella quale è coinvolta. L’attenzione delle vittime è sempre sull’altro, il persecutore, a cosa pensa, cosa vuole, nel tentativo disperato di aderire alla sua griglia mentale. I fenomeni dell’impotenza appresa, del pensiero binario e l’espropriazione del proprio universo mentale spiegano la passività estrema di queste persone, che spesso suscitano in chi tenta di aiutarle reazioni di rabbia e frustrazione, perché non reagiscono, non agiscono, fanno fatica ad assumere una posizione attiva e protettiva nei confronti di loro stesse e dei loro figli. Perché questi sentimenti non lascino spazio alla colpevolizzazione della vittima (“se l’è voluta, non vuole tirarsene fuori, istiga l’aggressore”) perpetuando il ciclo di vittimizzazione, è necessario ricordare sempre che si tratta persone che hanno subito un processo di trasformazione profondo e sono state isolate a lungo, private di punti di riferimento sociale e affettivo.

Nel caso in cui siano presenti i figli, punizioni e controllo esercitati sul genitore maltrattato da parte del genitore maltrattante hanno l’effetto di privarlo ai loro occhi di rispetto e autorevolezza. La relazione tra madre e figli passa da un piano verticale, gerarchico, a un piano orizzontale, di pericolosa uguaglianza in cui il divario generazionale cessa di esistere e si è tutti vittime senza protezione.


Il ruolo dello psicologo

Lavorare sul trauma con le vittime di violenza significa lavorare sulla relazione; in questi casi, ancora più che in altri, il terapeuta diventa parte di una relazione significativa, alternativa a quella abusante, e fortemente riparatoria. Il terapeuta che osserva la violenza è sempre chiamato a prendere una posizione. Definirsi, schierarsi contro la violenza è il punto di partenza; spesso infatti ciò è confuso e sfumato, legittimato, sia nella testa di chi subisce che nella testa di chi abusa, frequentemente a sua volta vittima di violenza nell’infanzia.


Dott.ssa Elisabetta Oltolini

Psicologa e psicoterapeuta

Terapeuta EMDR

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